Usare LinkedIn per andare oltre il curriculum e avere un profilo interessante: intervista alla recruiter Roberta Zantedeschi

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Vale la pena di usare LinkedIn, e in che modo? La piattaforma dedicata al mondo del lavoro è sempre più uno strumento social, da usare per promuoversi e creare relazioni di valore: in poche parole, essere su LinkedIn e usarlo significa essere attivi al suo interno, non solo aggiornando periodicamente il profilo ma anche contribuendo alle conversazioni in corso. Ce lo siamo fatti spiegare meglio da un’esperta del settore.

Roberta Zantedeschi è una recruiter e formatrice vicentina. Lavora a metà strada tra le aziende e le persone che cercano o vogliono cambiare lavoro. Si occupa anche di scrittura e di comunicazione e le abbiamo chiesto di rispondere a qualche domanda su LinkedIn perché lei per prima lo usa molto bene, ne è una sostenitrice convinta e sempre su LinkedIn scrive spesso di comunicazione professionale e di come usare questo strumento davvero prezioso.

Roberta scrive di lavoro sul suo blog, parla di ricerca di lavoro sul canale Telegram Personal HR e la sua casa virtuale è, appunto, LinkedIn.

Ciao Roberta, ci dici qualcosa sul tuo lavoro?

Il mio lavoro oggi è in evoluzione: accanto alla mia storica attività come recruiter e formatrice sto sviluppando una professionalità come business writer.

Nel concreto: mi occupo di ricerca e selezione di personale per conto di imprese e aziende del mio territorio. Sono formatrice su temi delle soft skill – ovvero le competenze trasversali che riguardano qualsiasi tipo di ruolo o professione, per esempio le capacità di comunicazione, di relazione e di collaborazione – e della scrittura di relazione, e affianco professionisti, consulenti, aziende e manager per aiutarli a migliorare la loro comunicazione con un uso consapevole della parola scritta.

LinkedIn: da dove si comincia per proporre un profilo interessante?

Le colonne portanti di un buon profilo personale su LinkedIn sono tre: le foto del profilo e della copertina, il sommario o headline e le informazioni (about).

Le foto vanno scelte con la consapevolezza che qualcuno potrebbe guardare il tuo profilo e non leggere niente, ma limitarsi a osservare le immagini e farsi comunque un’idea. Io consiglio di usare la foto profilo per rendersi riconoscibili e quella di copertina per dire qualcosa in più di sé, con buon senso, cura e un minimo di strategia.

Dal profilo LinkedIn di Roberta: foto profilo, foto di copertina, nome e headline.

La headline che appare subito sotto il nome invece non deve limitarsi al titolo professionale: oltre a indicare il ruolo ricoperto, può suggerire un target, un elemento distintivo, un’impronta personale, uno slogan. Oppure – ed è il mio consiglio – può servire a spiegare il proprio ruolo, rendendone chiaro l’ambito e il valore.

Le informazioni, infine, che non sono il riassunto delle esperienze professionali né lo spazio dell’autoreferenzialità spinta. Questo spazio è dedicato alla vendita e alla promozione di sé (importante soprattutto per i liberi professionisti), al racconto, alla creatività: è qui che puoi agganciare chi legge e trasmettere qualcosa in più, spiegandolo, motivandolo e fornendo un perché a chi legge. In altre parole, è qui che puoi rispondere alla famosa domanda: perché dovrei chiamarti?

La sezione informazioni (About) del profilo di Roberta.

Quanto conta LinkedIn se non hai mai lavorato o hai all’attivo poche esperienze? Come può sfruttarlo uno studente che inizia a osservare il mercato del lavoro o un freelance fresco di partita IVA per indicare le sue aspirazioni e motivarle?

LinkedIn è una community di persone che si confrontano e si aiutano sui temi del lavoro.
Quanto conta per una persona all’inizio del proprio percorso professionale entrare in contatto con altre persone e confrontarsi, oppure scoprire i trend di mercato, avere una finestra aperta sul mondo del lavoro?

LinkedIn non è un portale di annunci ma un luogo dove trovare innanzitutto altre persone e dove le relazioni vengono prima del business, e quando dico business intendo anche trovare o cambiare lavoro. Quindi sì, è utilissimo non solo per gli obiettivi di breve e medio termine ma anche per crescere come professionisti consapevoli e capaci di scegliere il proprio percorso.

E dirò di più: mi piacerebbe che le persone più giovani iniziassero a contribuire a questa community con contenuti, punti di vista, stimoli indispensabili – ma al momento carenti – per integrare le diverse generazioni.

Sappiamo già che avere un profilo su LinkedIn non è abbastanza ma che bisogna coltivarlo nel tempo: visto che anche Linkedin ha le caratteristiche di un social network e permette di pubblicare post e articoli, ha sempre senso utilizzarli o è più indicato per un libero professionista rispetto a un dipendente?

Il cuore della presenza su LinkedIn sono le relazioni e queste si generano interagendo con i contenuti altrui o contribuendo con dei contenuti propri. Vorrei aggiungere che il profilo dovrebbe essere una pagina di atterraggio, non il punto di decollo: è lì che vuoi far arrivare le persone che ti interessano dopo che hanno intercettato i tuoi contenuti e magari essersi messe in contatto con te. Quindi sì, scrivere – che a volte può limitarsi a contribuire a una conversazione generata da qualcun altro – è importantissimo per tutti.

Capisco però che scrivere non venga spontaneo o facile a tutti, ma è un processo graduale che si affina con il tempo: serve allenamento e non c’è altro da fare che iniziare e perseverare, con l’intelligenza di intuire cosa funziona e cosa funziona meno.

Le resistenze, secondo me, crescono o si dissolvono a seconda di come si affronta LinkedIn: se lo si vive come un dovere o, peggio, come una perdita di tempo, è chiaro che scrivere potrebbe risultare non solo uno sforzo, ma anche un comportamento da evitare. Se invece si entra su LinkedIn con l’idea di contribuire a una conversazione con il proprio punto di vista o le proprie conoscenze, e poi si raccoglie il coraggio di avviare delle conversazioni, allora scrivere diventa un processo naturale e, credetemi, desiderato. Anche per chi è timido!

La ricerca attiva del lavoro: oltre a rispondere agli annunci delle aziende in cerca di collaboratori, su LinkedIn può funzionare mettersi in contatto diretto con un’azienda, per esempio chiedendo il contatto a una persona che lavora nelle risorse umane, o rischia di diventare un autogol?

Può essere una strada, certo, ma solo se perseguita con buon senso ed educazione (lo stalking non piace a nessuno!). Dico sempre che LinkedIn non è una scorciatoia: se si contatta qualcuno direttamente su LinkedIn, meglio non chiedere un lavoro al secondo scambio; le eccezioni ci sono ma sono, appunto, eccezioni. Diverso è per un libero professionista che potrebbe essere un po’ più diretto, ma sempre rispettando le regole relazionali tipiche di questa piattaforma.

Insomma, qui la risposta è meno netta e va valutato il contesto. In linea di massima, su LinkedIn paga una strategia di inbound marketing, cioè di lavoro per essere trovati e notati dalle persone che ci interessano – e questa si nutre di contenuti, costanza, continuità e convinzione.

Come si risponde a un annuncio di lavoro pubblicato su LinkedIn? Un clic e via o vale sempre la regola della buona presentazione di se stessi, lasciando che il profilo esponga la lista delle esperienze e delle competenze accumulate nel tempo?

La buona presentazione vale sempre, anche perché non ho ancora conosciuto l’azienda che accetta un curriculum e via! Anzi, siamo sempre più attenti anche alla forma, che deve nutrire la credibilità di chi si candida e contribuire a una percezione di solidità.

Quando qualcuno su LinkedIn invita me e la mia categoria a guardare meno alla forma e più alla sostanza, io rispondo che i comportamenti messi in atto online – la cura del profilo, la scrittura del CV, l’aggiornamento delle informazioni, il modo di interagire, il testo della mail di accompagnamento – sono l’unica sostanza su cui posso basarmi.

E quindi, quella che per qualcuno è solo forma per me rappresenta la coerenza e la sostanza personale ancor prima che professionale. È questo l’unico modo che ho per andare oltre le esperienze e le competenze maturate e considerare la persona che c’è dietro a un curriculum.

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